venerdì 29 aprile 2011

Sole d’inverno atto secondo

Mentre il sole, quello vero, finalmente fa capolino e si infila fra i rami degli abeti, continua la mia ricerca, sul web e libri alla scoperta di nuovi modi per conservare profumi e colori caramellando scorzette.
Qui ho trovato quello che mi interessava, viene definita orange confit, ma credo si tratti di qualcosa di più di una confettura. E’ una riserva preziosa, per chi decide di concentrare questi sapori rispettando il tempo di bollitura e facendo restringere a dovere la massa. Così facendo solo i veri appassionati del sapore agro potranno gustarlo a mò di marmellata, mentre più diffusamente sarà possibilie utilizzare questa preparazione per profumare dolci e biscotti. La uso per caratterizzare il pan brioche, per conferire un sapore deciso ai biscotti, per regalare un caldo aroma naturale a mousses o bavaresi.


100 gr di scorza d’arancia
300 gr di succo d’arancia
150 gr di zucchero semolato

Ritaglio le scorze delle arance, e le lascio a mollo per due giorni completi cambiando spesso l’acqua. Le taglio a listarelle oppure a pezzi irregolari e le metto in un tegame basso con lo zucchero e il succo di arancia. Le faccio cuocere a fuoco medio, fin quando il liquido non si è quasi assorbito del tutto. Infine con un mixer ad immersione frullo il tutto ottenendo la pasta di arance.

giovedì 28 aprile 2011

à la recherche di una madeleine perfetta

"…in una giornata d’inverno, rientrando a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di prendere, contrariamente alla mia abitudine, un po’ di tè. Rifiutai dapprima, e poi, non so perché, mutai d’avviso. Ella mandò a prendere uno di quei biscotti pienotti e corti chiamati Petites Madeleines, che paiono aver avuto come stampo la valva scanalata d’una conchiglia di San Giacomo. Ed ecco macchinalmente oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d’un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzetto di Madeleine. Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di biscotto toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m’aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M’aveva subito rese indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità, la sua brevità illusoria, nel modo stesso in cui agisce l’amore, colmandomi d’un’essenza preziosa…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale...” 

(Marcel Proust, "Alla ricerca del tempo perduto”)

Da questo mitico passaggio letterario è iniziata qualche tempo fa la mia recherche (appunto!) per ottenere una madeleine perfetta. Eh si, una di quelle che hanno profumo di burro buono, la giusta consistenza, e soprattutto la gobbetta. Gli stampi in commercio, invogliano e aiutano, certo, ma la gobbetta non è imprimibile, no, essa è frutto solo di savoirfaire o di.....fortuna! No dai, non è tutta fortuna...delle regole da seguire ci sono eccome....




150 gr di farina
150 gr di zucchero semolato
125 gr di burro 82% massa grassa
2 uova
2 cucchiaini di lievito in polvere per dolci
2 cucchiai di latte
Innanzitutto non è sforzandosi di sistemare l’impasto nello stampo che si ottiene un risultato migliore. E' il forno col suo calore che riuscirà a spargere i mucchietti più deformi. Io metto l’impasto in frigo per almeno un’oretta, se ho fretta, dopo un primo passaggio in frigo, uso per pochi minuti anche il frezeer, così da avere un impasto ben freddo che a contatto con la temperatura elevata del forno farà montare su la gobbetta. Quindi...andando in ordine: si montano uova e zucchero a lungo, si aggiungono farina e lievito setacciati un pò per volta, infine, il burro morbido a pezzetti e i due cucchiai di latte. Per i miei stampi di maeleines medi basta un cucchiaino di impasto fatto scivolare al centro con l’aiuto di un secondo cucchiaino. 
C’è chi si diverte a farle arancioni verdi o salate ma io, perdonatemi, adoro le mie che profumano di limone e lasciano oleosi anellini nel the in cui le intingo.

martedì 26 aprile 2011

sole d’inverno: scorzette d’arancia candite


Quando arriva la primavera è tutto una riscoperta: la natura è pronta ad offrire di tutto e di più in termini di colori, profumi e sapori, ma non so perchè il mio sguardo, in questo periodo si volge indietro, a salvare quello che di caldo ci lascia l’inverno, a rubare il colore solare delle arance. Vado al mercato in cerca delle ultime dalla scorza più grossa, ne acquisto la quantità necessaria e corro a casa. Le seleziono con cura, seguo il procedimento  e le chiudo nei vasetti di vetro più graziosi, per avere il piacere infinito di vedere il sole d’inverno ogni qual volta io apra la dispensa.





280 gr di scorza d’arancia
260 gr di zucchero semolato
260ml di acqua
il succo di 1 limone
120 ml di succo d’arancia



Lavo con cura le arance, che di solito sono grandi e con la buccia spessa. Ricavo da ogni arancia a spicchi e li ripulisco all’interno della parte bianca, ma non completamente. Se ne lasciamo uno spessore di circa 3 mm e avremo cura di spurgare a lungo le scorze, esse non saranno amare, anzi saranno carnose e piacevolissime da mordere. A questo punto si può bollire le scorze per tre volte in acqua, cambiandola sempre, oppure si può lasciarle a mollo per due-tre giorni in acqua, ricordandosi di cambiarla di tanto in tanto ( 2-3 volte al giorno). Quando sono belle morbide, le taglio a listrarelle più sottili e le metto in un tegame con tutti gli altri ingredienti...finchè il liquido si asciuga passano anche 20 minuti. Quando sono belle lucide e caramellate si tirano su con una pinza e si sistemano ancora calde nel vasetto più bello della collezione.




domenica 24 aprile 2011

Firenze e la nostalgia

La nostalgia è Firenze, perché quando sin da piccoli si trascorre "lassù" la Pasqua, non è semplice poi adattarsi un anno a trascorrerla a casa propria. Anche semplicemente non partire ha il suo strano sapore. E allora devo inventarmi la mia Pasqua che per quest’anno vuol dire... ricordare, sentire in bocca i sapori sempre assaggiati, rimettere in ordine tradizioni, ora dopo ora,  ripensare a discorsi di vecchi, i miei, sentire i profumi delle loro stanze, e del cibo preparato dalle loro mani. 
Là assorbivo e studiavo ogni mossa della tradizione, ma è pure vero che qui, nella casadellelucertole, posso finalmente sperimentare la tradizione. Posso ricevere amici, averli con me in lunghe giornate di sole e cucinare per loro...posso dir loro che quest’anno mi manca Firenze, ma che in fondo sono a CASA se ho i miei ricordi, la mia famiglia e...

I biscotti Fiorentini




Li ricordo nelle vetrine delle pasticcerie di via del Corso, avvolti in sacchettini trasparenti che ne rivelano la double face... quando, passeggiando, ripassi i versi del Purgatorio appena letti sulla targa di Palazzo Portinari, (Purg. XXX, vv. 31-33 “Sopra candido vel cinta d’oliva Donna m’apparve, sotto verde manto, Vestita di color di fiamma viva”), pensi a Beatrice e intanto ti penti di non averne comprato un sacchetto!
Ho confrontato tante ricette, ma quella che più ricorda l’originale credo sia questa ed è su questa che ho lavorato per raggiungere la mia ricetta ideale, ideale per il mio forno, per il mio palato, per i miei ricordi. 

Dosi per una ventina di biscotti:
45 gr di burro
60 gr di zucchero
20 ml di panna fresca
30 gr. di nocciole tostate
30 gr di mandorle
45 gr di scorze d’arancia candita (qui come le faccio io)
40 gr di farina
1 pizzico di sale
cioccolato fondente per la glassatura q.b.

 In un pentolino metto il burro, un burro buono e profumato, col almeno l’82% di massa grassa, lo zucchero la panna, alzo la fiamma e attendo le prime bollicine. Tolgo dal fuoco e metto mandorle ( non tostate e con tutta la pellicina) e nocciole tagliuzzate grossolanamente a mano e le mie scorzette d’arancia candita. Alla fine, ma sempre velocemente inserisco farina e sale. Preparo velocemente le teglie stendendovi la carta forno e sistemo il composto a mucchietti alti e ben distanziati. Nel forno si allargheranno a dismisura...e prenderanno una forma irregolare, ma sostanzialmente tondeggiante, quindi lo spazio è necessario. 
La temperatura deve essere piuttosto alta, a circa 180° per cuocerli velocemente. Sono pronti quando i mucchietti si saranno allargati, quasi sfiorandosi e quando il bordo avrà assunto un colore ambrato.
Estraggo la teglia e tengo a bada le manine: non si può toccare nulla se prima non sono freddi: si spezzano! 
Quando il tutto si è solidificato vanno glassati col cioccolato sciolto a bagnomaria, a volte occorre prima staccare quelli che si sono attaccati. Io lo faccio con un pennello, ma va bene anche la lama di un coltello. Si ripongono a pancia in giù a solidificare e a metà di questo procedimento si può incidere la superficie del cioccolato con i rebbi di una forchetta. 

            



sabato 23 aprile 2011

il pan di ramerino


Per assaporare questi invece andavo in via dei Neri...una via del centro di Firenze, come tante altre...se non fosse che per arrivarci dalla Facoltà in cui studiavo occorreva raggiungere piazza Duomo, percorrere via dei Calzaiuoli, arrivare in piazza della Signoria e volgendosi verso gli Uffizi  svoltare a sinistra.

Così facendo si lasciavano alle spalle i luoghi più monumentali del centro per inoltrarsi nella "normalità" di una via lunga lunga con un nome che ti riporta nel 1300 ed un piccolo forno i cui profumi ti fanno sentire viva, ADESSO.

Levatina:
Si impasta con le mani una base lievitata che useremo solo quando sarà raddoppiata:
150 gr di farina manitoba
100 ml di acqua
20 gr di lievito di birra

Condimento:
Metto gli aghi di rosmarino in un pentolino con l’olio finchè non soffriggono e mandano un buon odore. Poi faccio intiepidire l’olio, lo filtro e ci metto l’uvetta (precedentemente ammollata) a prendere sapore.
2 rametti di rosmarino
150 gr di uvetta
50 ml di olio evo
  
Impasto:
Sul fondo dell’impastatrice pongo la levatina e poi aggiungo gli ingredienti del secondo impasto:
150 gr di farina 00
150 gr di farina manitoba
2 rametti di rosmarino
50 gr di zucchero
140 ml di acqua
Condimento

Faccio andare l’impastatrice fin quando la levatina e l’impasto si amalgamano completamente. Metto a lievitare 2 ore (poi dipende dalla temperatura dell’ambiente in cui impastate e comunque io utilizzo spesso della pellicola trasparente per coprire la ciotola in cui ripongo l’impasto perchè trattiene bene il calore).
Ungo le mie mani di olio più volte. Sulle teglie dispongo l’impasto a palline di 80 gr l’una. Incido la superficie superiore con una forbice. E faccio lievitare ancora un’ora. 

Si pennella con uovo sbattuto.

Si infornanoa 180° circa, finché non hanno un bell’aspetto dorato (ciascuno dovrà regolarsi in base al proprio forno; io, ad esempio, a fine cottura per colorarli ben bene accendo per pochi minuti il grill del forno).
Appena sfornati si bagnano con uno sciroppo che li lucida e li addolcisce ancora, fatto così: in un pentolino si fa sciogliere e sobbollire pochi secondi 50 gr di zucchero in 100 ml di acqua.

                     

venerdì 22 aprile 2011

Un pan di Spagna come si deve

A volte penso che se è vero che si trasmette ai dolci in preparazione la stessa ansia che si trasmette ai figli in crescita, credo di avere dolcemente avvelenato i miei ospiti svariate volte. 
L’aspettativa che si crea nel mio cervello ogni volta che prendo uova zucchero e farina è infinita, soprattutto se il momento culminante dell’assemblaggio è preceduto da lunghe meditazioni e arditi appostamenti al contadino di fiducia per implorarlo di darmi un uovo fresco in più. 
Non parliamo poi della fase di studio...sarà deformazione professionale, ma, per non sbagliare, non mi butto mai a capofitto, facendo di testa mia. Vaglio, confronto, leggo, elaboro, scrivo, cancello e riscrivo, finchè sono in grado di aggiungere un pizzico di autonomia interpretativa che rende MIA una ricetta. 
Il pan di Spagna è un prova. C’è poco da fare. Prima di trovare questa ricetta ho sofferto, ho studiato, ho cercato di capire e, dico la verità, sono scesa anche ad un comodo compromesso che mi fa poco onore, qual’è l’uso del lievito in polvere (apprezzerete la confessione, ma fate finta di non aver letto, please!), e soprattutto ho passato interi pomeriggi inginocchiata davanti al forno, della mia cucina, quasi in atto di preghiera sperando di vedere un’imponente massa soffice asciugarsi senza perdere volume. 
Sono andata all’origine, forse perchè solo una fonte storica autentica poteva convincermi che altra strada non c’era se non quella di montare molto a lungo le uova con lo zucchero (addirittura 1 ora e mezza, diceva la mia fonte!). 
La fonte si chiama L’arte di coziha ed è datata 1693. In questo testo Rodrigues, il cuoco del re del Portogallo spiega come si realizza il "Biscoutos della Reyna” che, a quanto pare, è stato forse "Pan di Portogallo”, prima che Pan di Spagna.





Per un pan di Spagna di 28 cm di diametro:

9 uova di media grandezza
300 gr di zucchero semolato
300 gr di farina
2 cucchiai di acqua

Profumazioni possibili:
20 ml di limoncello (hand made!) in sostituzione dei 2 cucchiai di acqua + la buccia grattugiata di limone
20 ml di sciroppo di fiori di acacia idem come supra
20 ml di acqua di fiori d’arancio idem come supra.

Io metto nel robot da cucina 1 uovo intero ed 8 tuorli con 100 gr di zucchero, 100 gr di farina e gli aromi (naturali!) che scelgo (oppure l’acqua) e faccio montare il tutto per 10 minuti. Nel frattempo, con le fruste elettriche, monto gli albumi e appena formano una schiuma inizio ad inglobare lo zucchero. Unisco i due composti a mano utilizzando una grande frusta, mescolando lentamente, mentre setaccio ed unisco la farina. Ungo la teglia con burro, velo con un pò di farina e metto in forno preriscaldato per 30 minuti a 180°.  Controllo che sia cotto aprendo il forno, ma poi lascio dentro il pan di Spagna per altri 5 minuti dopo averlo spento.  

martedì 5 aprile 2011

La casadellelucertole è casa mia

La casadellelucertole è casa mia. E’ la casa dove mi hanno portata appena nata, ed è la casa dove sono nati i miei figli. E’ la mia dimora di sempre, è quella in cui sono sempre voluta tornare dopo essere partita. E’ quella dove si è consacrato mio marito, dicendomi, dopo la prima visita: “ sai che io qui ci potrei anche vivere?”. E’ il mio rifugio, la mia sicurezza, è il posto in cui mi vedo sia bambina, che vecchia e ricurva, il luogo a cui penso di fare un torto se mi costruisco un’altra casa.
....c’è un cancello di ferro battuto all’ingresso, c’è una grande terrazza che guarda sul golfo, ci sono i sugheri, i quercioli, qualche castagno, e tanti alberi di ciliegio.
Printemps a Giverny di Claude Monet 1903
...c’è un fitto bosco di “scope” da cui da bambina ricavavo il “riso” (nient’altro che fiorellini bianchi e tondeggianti) per fare "torte" e “sformati”. C’è la mia vecchia casa sull’albero, che mi sembrava tanto alta, e invece oggi è così minuscola; c’è tanto finocchio selvatico e profumato, un’edera folta dietro casa, enormi cespugli di salvia e rosmarino, la menta che nasce spontanea, ovunque rose dai petali carnosi e nuvole basse e bianche. 
Ci sono quattro occhi sinceri di bambini che giocano nel vento, profumo di dolci panini lievitati, e l’odore sano della legna da ardere.
C’è la nebbia e il mare, la pioggia e la neve, il sole e poi...poi ci sono loro...le lucertole, tante, grandi ed invadenti, abitanti come me di questo luogo incantevole ed incantato; avide come me di sole quando il cotto si riscalda. Escono in primavera dai pertugi della terra, ed in ottobre tardano a sparire, sono fastidiose e bellissime; lestissime o immobili come le decorazioni a rilievo dei vasi di terracotta. Da piccola le seviziavo, ora conviviamo con reciproco sospetto, domani o un giorno forse saremo amiche.